Un martedì di fine settembre a Roma, il caldo stenta a calare, così decido di fuggire dalla città in direzione di Terracina, alla scoperta di nuovi siti archeologici ancora sconosciuti. Insieme al mio fedele amico a quattro zampe, riesco a svicolare dal traffico cittadino e a prendere l’Appia verso il mare. Superato Castel Gandolfo e salendo per qualche tornante, immersa nel verde dei Castelli Romani, mi ritrovo a Velletri; da qui il percorso è tutto in discesa e tra infinite distese di campi coltivati, un rettilineo di una quarantina di chilometri mi porta direttamente nella parte bassa della città. Giunta a Terracina capisco perché questo centro fu così importante da suscitare l’interesse prima degli etruschi poi dei volsci e infine dei romani: la sua posizione strategica, al centro di una baia estesa fra il Circeo e Gaeta, alla confluenza di numerose strade, e la protezione verso l’interno data dal massiccio di Monte S. Angelo, ne fanno un inespugnabile centro nevralgico per i commerci e per la penetrazione verso la Campania. Inizio la mia visita dal centro storico, nella parte alta della città, ed entrando dalla Porta Romana percorro il corso Anita Garibaldi che ricalca l’antica via Appia. Originariamente fuori dall’abitato, almeno fino al II sec. a.C., quest’area preserva resti di sepolture e di antiche abitazioni. Il corso prosegue in direzione della piazza del Municipio, girando attorno al Duomo che ha incorporato i resti di un edificio; forse un tempio di Roma e di Augusto o il Capitolium della città, sicuramente un luogo sontuoso come si può solo immaginare osservando i rivestimenti marmorei e le semicolonne che ne decorano i muri della cella. Di rimpetto, inglobati fra le case del centro storico, si ergono i resti di un altro tempio, il cui accesso avveniva dall’Appia e del quale mi colpisce l’opera reticolata bicolore, effetto ottenuto con l’impiego del tufo e del calcare (lo so, problemi del mestiere!). Scatto qualche foto di rito, supero un gruppo di turisti tedeschi e passando per un antico arco accedo alla piazza del Municipio. Come un salto indietro nel tempo mi ritrovo nel foro della città; il basolato della via Appia che corre per tutta la lunghezza della piazza e la pavimentazione in grandi lastre rettangolari di calcare risplendono sotto il sole di mezzogiorno e sotto i miei passi dopo secoli di storia. Attraverso la piazza, alla ricerca dell’iscrizione dedicatoria a grandi lettere incavate nelle lastre calcaree: eccola! Ancora qualche foto e poi, superando ciò che resta del teatro sulle pendici della collina sovrastante la piazza, scendo lungo via S.S. Annunziata per dirigermi verso il lungomare. Dal centro storico, silenzioso e quasi desertico arrivo nel cuore pulsante di Terracina, dove il traffico ed i negozi mi riportano alla routine quotidiana. Dopo un meritato riposo in spiaggia, percorro il lungomare in direzione del santuario di Giove Anxur. Questo quasi scompare ai miei occhi alla base del Pisco Montano, una rupe calcarea alta quasi 100 m che me ne impedisce la vista. Incisi nella roccia, grandi numeri romani indicano l’altezza del taglio della rupe voluto da Traiano; questo permise alla via Appia di proseguire il suo percorso lungo il mare, evitando così quello più antico che in modo tortuoso, si inerpicava per le pendici dei monti. Non mi rimane quindi che salire verso l’acropoli della città! Percorrendo la via di S. Francesco e rasentando la cinta muraria voluta da Silla nel I sec. a. C., tra radi ulivi e resti di sepolcri romani, si apre uno splendido panorama sul Circeo e sulla pianura pontina e poco dopo, su una vasta platea, si ergono le rovine di uno fra i più grandi santuari laziali. Un po’ delusa nello scoprire che non tutti i percorsi della visita all’acropoli sono praticabili per la creazione di un itinerario tridimensionale, mi godo il panorama alla fine di questa bella giornata, ripromettendomi di tornare nuovamente per vivere, anche se in una realtà virtuale, la vita religiosa, i sacrifici ed i riti che avvenivano in questo luogo in un lontano passato.
I.