S. Urbano alla Caffarella

Uno dei più celebri luoghi di culto cristiani, la chiesa di S. Urbano nel parco della Caffarella, sta per riaprire al pubblico dopo una chiusura di alcuni anni per restauri alle parti architettoniche ed agli affreschi parietali. Un protocollo d’intesa tra il vicariato e la Sovraintendenza Comunale dovrebbe a breve rendere note le modalità di accesso al pubblico, in orari diversi da quelli delle funzioni religiose che saranno ancora officiate.

L’edificio, costruito intorno al 160 d.C., era originariamente un tempio pagano dedicato a Cerere e Faustina. Esso faceva parte dell’immensa proprietà (denominata Triopio) di un ateniese, Erode Attico, che aveva sposato una ricca donna, Annia Regilla, discendente di quell’Attilio Regolo morto nella prima guerra punica. Tiberio Claudio Erode Attico, nato nel 100 d.C., fu retore, precettore degli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio e governatore della provincia d’Asia. Tale fondo occupava buona parte della tenuta agricola della Caffarella, giungendo fino alla via Appia Antica, dove è ora il circo di Massenzio.

Il tempio, ben conservato per la sua trasformazione nel VI secolo in chiesa dedicata al vescovo S. Urbano (ciò che ha assicurato la realizzazione di una serie di restauri, di cui il più importante è quello del cardinale Francesco Barberini nel 1634), originariamente si ergeva su un podio con sette gradini, al centro di un grande terrazzamento cinto da un portico. L’edificio è tutto in laterizio, decorazioni comprese, secondo l’uso del tempo, con quattro colonne corinzie davanti in marmo pentelico. Originariamente nella cella, dove ora c’è l’altare, c’erano le statue delle divinità e forse quella di Annia Regilla. Davanti al pronao c’era l’altare per i sacrifici. Il tetto era decorato con stucchi dipinti, di cui rimane quello centrale. Qui, in una delle due figure femminili si deve forse riconoscere Annia Regilla nell’atto di compiere un sacrificio (forse la scena è da interpretare come l’apoteosi di Annia Regilla).

Gli affreschi che decorano le pareti interne sono dell’XI secolo, ma furono rimaneggiati nel 1634. Essi rappresentano scene tratte dal Vangelo, del martirio di S. Lorenzo e di altri santi non ancora identificati, tra cui S. Cecilia e S. Urbano. Attraverso una scala si scende nella cripta, che doveva essere una confessio, cioè il luogo da dove si potevano venerare le reliquie del santo. Nella cripta è raffiguratala Madonna con Bambino tra S. Giovanni e S. Urbano.

C.L.

Bibliografia: La valle della Caffarella. La storia ci racconta, a cura del Comitato per il Parco della Caffarella, Roma 1994.


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1 Giugno 2019: la GEA compie 30 anni di attività!

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Ai “migliori anni della nostra Gea”

Signore e Signori son qui per parlare
ma di certo il poeta non so proprio fare.
Perdonate dunque la mia esitazione,
cercherò di sopravvivere a questa emozione.
Poche parole dovrete ascoltare
da chi, come me, non sa presentare
ma vuole soltanto, per un solo momento,
dirvi due cose su un bell’argomento.
Siam qui riuniti per festeggiare
"trent’anni" di vita nel ricercare
quel che a coloro che ci han preceduto
è per fortuna sopravvissuto,
giungendo spesso, così imponente,
da far tremar tutta la gente,
che spesso ignara, oppur cosciente,
scavava tutto cercando il niente.
Ma un muro antico a volte intatto,
ti può portar pure allo sfratto!
Case, villini, proprietari e inquilini,
nessun privilegio, nessuna amnistia,
quei “quattro sassi” tutto spazzan via!
Luce, telefono, acqua e metano,
dottore, la prego, ci dia una mano!
Architetto, geometra, bella signora,
non vogliamo aspettare neanche più un’ora.
Di qui non si passa, il traffico intralcia,
si sbrighi, che fa, si gratta la pancia?
Non vede che ho fretta, non riesco a passare,
son solo “due cocci” ma che ci vuoi fare!
“A Roma ndo’ scavi trovi sempre quarcosa,
ma che n’ch’o sai, è ‘na vecchia storia!
Mi’ nonno abitava proprio qui dietro,
ha visto la guera e conosciuto San Pietro!
Mi’ zio c’è cresciuto e spesso diceva
che quarcuno ce stava ma che ‘sto morto nun c’era.”
“Che bel lavoro, ci vuole passione,
è il mio sogno e la mia aspirazione,
anche se poi diciamola tutta:
‘sta bella roba, un mio amico, la tiene in soffitta!
Ma è sempre meglio che vedé ‘sti pezzettini
ammucchiati e ammuffiti nei magazzini.
A casa c’ho un vasetto, un bell’oggetto,
se glielo porto mi ci trova un difetto?
Quanto può valé ‘sta strana moneta
che mi’ cugino ha trovato ‘n pineta?
Se esce un tesoro, facciamo così:
un pò me lo prendo e un pò resta qui!
Vuoi dire che a casa non c’hai proprio niente:
un vaso, una statua, un prezioso pendente?
Quel tale a Cerveteri tanti anni fa
ha trovato una tomba...che qualità!”
La gente ci parla, racconta e non sa
che con le “Belle Arti”...non ci abbiamo a che fa’!
Ma oggi siam qui e vogliam celebrare
il passato, il presente e poter raccontare
di una società che ha per nome la “terra”
e che i nostri sorrisi da sempre risveglia.
Quante cose successe in questi trent’anni che a raccontarlo son gioie ed affanni.
Qualcuno non c’era tanti anni fa,
qualcuno da allora è arrivato fin qua,
poteva sembrare una dura missione
ma il tempo paziente gli ha dato ragione.

Ed eccoci ora qui a ringraziare
tutti coloro che han saputo creare
con i sacrifici e le grandi rinunce
la GEA S.C.ar.l., non una qualunque.
A tutti è rivolto questo messaggio
a chi ha avuto torto e a chi è stato saggio.
A chi poi è rimasto onesto e coerente
e a chi si è spostato in un’altra corrente.
A chi ha creduto di potercela fare
ma anche a chi ha scelto una vita normale.
A tutti i colleghi, vicini e lontani,
che sempre ci han teso le loro mani.
A tutti quei soci di un tempo e di adesso,
a chi è rimasto, comunque e lo stesso.
(Claudia Corsello)

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